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Basilica di San Petronio | Omelia Mons. Giovanni Silvagni
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S. PETRONIO 2015

OMELIA MONS. GIOVANNI SILVAGNI VICARIO GENERALE

 

Sperimentiamo oggi più del solito la gioia di essere un popolo, il popolo bolognese.

E’ un popolo che avendo un passato di cui far tesoro, ha fiducia di avere anche un futuro davanti a se’.

Per molti bolognesi di oggi, Bologna non è stata la città di nascita, ma è diventata la città di elezione, in cui si è venuti ad abitare e si è deciso di restare.

E si decide di rimanere a vivere in un luogo quando vi si scorge una speranza di futuro, una promessa di vita buona per sé e i propri figli.

 

Ma quante “città” ci sono in Bologna?

La Bologna dei residenti storici e degli studenti fuori sede,

la Bologna dei benestanti e quella senza fissa dimora e di chi si butta via,

la Bologna degli immigrati, con i loro tesori di umanità e sapienza, trattati ancora con troppa sufficienza, mentre ci sarebbe molto da imparare da loro come si fa a stare al mondo.

 

Per vivere bene – non solo come singoli ma anche in quanto aggregazioni e istituzioni – abbiamo bisogno gli uni degli altri; nei tempi difficili, in cui scarseggiano i beni più necessari, questo lo si sente e lo si pratica più facilmente: “i poveri nella scarsità di mezzi, hanno per amica la mitezza; i ricchi nell’abbondanza hanno come loro familiare l’arroganza” (S. Leone Magno, Disc.95, 2; PL 54, 462).

 

Il livello dei nostri dibattiti culturali, degenera sempre più velocemente in rissa e proprio sui temi cruciali della vita e del futuro della società.
Cosa denota tutto questo?

Forse che siamo ancora troppo ricchi, per permetterci il lusso di essere umili! Siamo ricchi di presunzione, autosufficienza, spirito di parte, posizioni di rendita, diritti acquisiti…. Siamo ricchi di luoghi comuni, di asservimento al pensiero unico, senza neppure un sussulto di dignità, di onestà intellettuale, di capacità di rischiare andando contro corrente. E non punto il dito contro nessuno: sono mali comuni delle chiese e della società, perché la materia prima di entrambe è la persona umana con le sue potenzialità e le sue meschinità di cui tutti sappiamo qualcosa quando ci guardiamo allo specchio.

 

S.Paolo utilizza la metafora del Corpo umano per illuminare il senso profondo della comunità credente. Quanto ci sono care queste parole: come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri (1 Cor.12,4s).

Qusto stesso paradigma del corpo bene si adatta ad ogni convivenza civile, ad ogni comunità umana, che pensa se stessa come una personalità collettiva, un corpo sociale e non solo come somma di individui o coesistenza di opposti interessi individuali.

 

Oggi è giorno di festa e queste prospettive ci allargano il cuore ad una grande speranza di poter avere una vita ordinata, nella complementarietà di compiti e doni diversi, ma assolutamente solidali tra loro:

Chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all’insegnamento; chi esorta si dedichi all’esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia (ibid.7-8).

 

Per tutti poi indistintamente vale l’esortazione: La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda (ibid.9-10 ).

 

Ringraziamo per tutte le volte in cui già vediamo realizzata questa armonia del corpo sociale, nella chiesa e nella cittadinanza; lo capiscono i semplici e possono capirlo anche gli scienziati, che solo dentro questi orizzonti è possibile trovare la strada per superare i disagi che oggi stiamo sperimentando.

 

Tra questi disagi dobbiamo annoverare la difficoltà e impossibilità per un numero impressionante di giovani di trovare lavoro. Se a Bologna il fenomeno è meno drammatico rispetto ad altre regioni del nostro paese, non per questo possiamo sottovalutare il danno epocale in atto, paragonabile – senza retorica – alla decimazione della popolazione giovanile causata cent’anni fa dalla Grande Guerra.

 

Il danno più grande per chi di noi vive sulla sua pelle questo disagio è non potersi immaginare un futuro. Paradossalmente si deve dire che è molto peggio esser senza lavoro che senza stipendio, perché la dignità al lavoro non la da lo stipendio che si percepisce ma il fattore umano che riesce a mettersi in gioco per realizzare qualcosa di buono. La crisi ci ha ridato coscienza di questa evidenza che avevamo un po’ dimenticato.

 

E non è contro natura che gli adulti e anziani di oggi abbiano più benefici dei propri figli e nipoti, quando invece i nostri vecchi si erano sacrificati perché i figli avessero una vita migliore?

 

E così si arriva all’assurdo: i figli nel pieno vigore fisico, intellettuale, affettivo, sono a riposo forzato e “sterilizzati” moralmente, mentre i vecchi devono continuare a lavorare per non perdere i diritti acquisiti. Quasi che lo scopo della vita fosse salvare se stessi e il proprio benessere a scapito di quello dei figli!

 

Ma quale precedente nella natura e nella storia potrà mai giustificare questo stato di cose? E non possiamo pensare che soluzioni non vi siano, per quanto difficili e dolorose. Ma chiediamocelo onestamente: è meglio mendicare alla porta dei nostri figli che hanno qualcosa più di noi, oppure non aver bisogno di nulla seduti sulla loro tomba?

 

Chiediamo a S. Petronio di pregare per noi tutti perché ci sia data intelligenza, immaginazione e volontà per uscire da questa situazione, lui che ha risuscitato la città dalla sua decadenza mortale e ha posto le basi della Bologna che è arrivata fino a noi e di cui tutti siamo lieti di far parte, senza esclusione di nessuno. La chiesa ci sta a collaborare attivamente e a spendere del suo con tutti quelli che vogliono mettersi insieme per cercare di realizzare questo sogno.