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Basilica di San Petronio | 4 Ottobre 2017 - Solennità di S. Petronio
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Solennità di S. Petronio

PATRONO DELLA CITTA’ E DELLA DIOCESI

 

Celebriamo con gioia e gratitudine la memoria del nostro patrono, san Petronio, Pater et Protector, che ci mostra tutta la città degli uomini, che se ne fa carico e si sporca le mani con l’umanità che in essa vive. Custodire significa preghiera, passione, interesse, servizio, intelligenza, perché la città abbia sempre al centro l’uomo, non sia una piazza anonima di tante solitudini ma un luogo largo, accogliente, di incontro, non di scontro, di crescita e di amore per il valore che è ogni uomo, di parole e cultura, non di strilli o “urla dirette allo stomaco”.

 

San Petronio ha pensato Bologna come Gerusalemme. Costruiva e sognava, “in grande”. Tutti possiamo aiutare perché i sogni “si fanno ad occhi aperti e si portano avanti alla luce del sole”. Le cose vere non sono affatto quelle più facili o che accarezzano l’inganno dell’effimero.

 

Portiamo ancora negli occhi e nel cuore – e questo ci aiuta tanto a vedere e ad amare – le parole e i gesti della intensa visita di Papa Francesco in mezzo a noi.
Non si è risparmiato! Lo ringraziamo per l’energia spesa per avvicinare tutti, per mostrare a ciascuno il segno della vicinanza e per gettare con larghezza il seme della Parola di Dio.

Desidero ringraziare di cuore le istituzioni e quanti, con generosità e spirito di servizio, hanno permesso che l’intensissima giornata trascorresse senza problemi. Custodire richiede sempre tanto lavoro nascosto, qualche volta ingrato e non conosciuto. Grazie.

 

E’ stata una festa di Chiesa e della Città degli uomini. Nelle tantissime persone, nonostante i limiti imposti dalle indispensabili condizioni di sicurezza e dal tempo avverso, che si sono affollate lungo il percorso, mi era facile vedere la stessa folla del Vangelo che mosse a compassione Gesù e che abbiamo contemplato in questo anno del Congresso Eucaristico “Voi stessi date loro da mangiare”.

 

Nella Chiesa gli altri sono tutti nostri! Non esiste il noi e il loro. I poveri hanno fin da subito lo ius di fratelli più piccoli, ci ricordano che dobbiamo essere fratelli tra di noi. La sfida di farli diventare “nostri” si vince solo con l’amore, come Gesù chiede a tutti.

 

Era la folla di profughi cui il Papa ha donato uno ad uno il pane di un gesto di riguardo e di attenzione. Uno ad uno. Smettevano così di essere un numero e diventavano, nei loro grandi sorrisi, una persona. Era la folla delle più di mille persone per le quali si è preparato un posto speciale per ciascuno, raccolte in questa casa del Signore che è diventata per un giorno un anticipo di quel banchetto tutto umano dove si siederanno a mensa nel Regno dei cieli.

 

Abbiamo contemplato un’immagine santa ed umanissima, come una vera icona evangelica che rivela il legame tra la mensa eucaristica e quella del servizio e dell’amore fraterno. E’ una eccezione che ci aiuta pregare di più, a vivere l’eucarestia tutti i giorni e, come c’è chiesto, essere noi eucarestia per il prossimo.

 

C’erano i “nostri” anziani che spesso non sono più di nessuno, abbandonati così alla tortura che è la solitudine e che hanno vissuto domenica “la giornata più bella della loro vita”. Sono i senza fissa dimora, attesi e non tollerati o allontanati perché i posti sono finiti. Sono i disabili, che cercano e hanno diritto al lavoro e a tanta considerazione o quelli colpiti dalla malattia più difficile da riconoscere, quella mentale, che l’isolamento e la fragilità delle relazioni accentua e complica allo stesso tempo. Sono i detenuti delle varie carceri, anche loro alla ricerca del pane della speranza.

 

Insomma è la famiglia cui Gesù ci chiede di dare noi loro da mangiare. La gioia dei tantissimi volontari è come la sazietà dei discepoli dopo la moltiplicazione. Solo condividendo saremo sazi. La comunione è sempre circolare. La casa del Signore torna ad essere quella di sempre, ma portiamo nel cuore questa immagine che ci ricorda che tutti coloro che sono nutriti da Gesù sono il “voi” che deve apparecchiare tante mense di amore. La folla di studenti ha ricevuto il pane per resistere alla sirena del consumismo e ricercare per davvero il bene.

 

I tre diritti, quello alla cultura, alla speranza e alla pace sono un impegno che coinvolge loro e tutti. La folla allo stadio l’ho sentita trasformata in una famiglia, la mia famiglia, la nostra e sua famiglia di Dio. Una celebrazione grande e intima allo stesso tempo, davvero diocesana, unico corpo con molte membra, tutte gli uni degli altri. Questa Domenica della Parola ci aiuta a vivere le nostre Eucarestie con la stessa accoglienza e larghezza, perché ogni Eucarestia, anche la più ridotta, è sempre con Colui che raduna intorno a sé il suo popolo da un confine all’altro della terra.

 

Domenica nelle nostre parrocchie e realtà concluderemo questo anno del Congresso Eucaristico. Tante consapevolezze che abbiamo acquisito o tanti inizi non finiscono ma li portiamo con noi nei prossimi anni. Stasera al termine affiderò la Lettera Pastorale “Non ci ardeva forse il cuore nel petto?”, che raccoglie proprio il cammino di questi due anni trascorsi e c’introduce al prossimo, che desidero sia come il cammino dei due discepoli di Emmaus che ritrovarono la Parola di Dio e la speranza che da questa sgorga. Ho voluto raccogliere molte delle indicazioni emerse nelle parrocchie e nelle altre realtà durante le quattro tappe, che sono state momenti sinodali per confrontarsi alla luce dell’Evangelii Gaudium.

 

Sinodo significa camminare assieme, per non restare fermi, per una presenza rinnovata della Chiesa e per raggiungere tutti con la gioia del Vangelo. Questo anno ricominceremo semplicemente dalla Parola, sine glossa, senza le tante aggiunte, perché non è una lezione che si impara una volta per tutte ma la compagnia fedele che fa ardere il cuore (cfr. Lc 24,32) e ci fa sentire amati e consolati dal Signore. Ognuno di noi e le nostre Comunità cambieranno in maniera sorprendente se metteranno al centro la Parola e si lasceranno interrogare da questa che è la “bussola per camminare umili, per non perdere la strada di Dio e cadere nella mondanità”.

 

Un rapporto rinnovato con la Parola nutrirà la nostra preghiera, ci aiuterà a vivere il Vangelo in famiglia, nel servizio ai poveri, a scuola, ovunque. E come non si possono servire i poveri senza la Parola di Dio e la preghiera, così non si ascolta la Parola senza metterla in pratica, a cominciare da coloro che Gesù ci indica il suo Corpo.

 

Vorrei raccomandarvi due parole perché la Chiesa sia davvero una madre fertile e premurosa: comunione e speranza. La comunione è affidata ad ognuno di noi. Nessuno è spettatore in essa, tutti la doniamo e la riceviamo, nessuno ha diritto di umiliarla o usarla per sé in nome della sua verità o del suo punto di vista. Mai.

 

E offendere la comunione è indebolire questa madre, la nostra Madre. Senza Comunione tutto diventa più difficile, rischiamo di diventare prigionieri del banale e mondano individualismo, intaccando quell’unità di diversi che è il dono, insieme alla pace, di Gesù che muore. Non facciamo mancare il personale amore che la costruisce e la nutre.

 

Nella comunione il più grande è colui che si fa servo. Una Chiesa umile, ma non modesta; di umili e poveri, non di cristiani che cercano una vita fatta a tavolino “dove basta adempiere qualche dettame per acquietarsi la coscienza”. Per questo non valutiamoci più di quanto conviene, usiamo i nostri doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi non per la nostra considerazione o ruolo, che tanto dissipa e divide, ma per costruire questa bellissima casa che è la Chiesa, per aiutare la nostra madre, per sconfiggere il male che è il vero nemico, per donare con semplicità e compiere le opere di misericordia con gioia. Solo nella comunione potremo essere missionari.

 

Speranza. Abbiamo la tentazione di essere vecchi e nuovi profeti di sventura che giudicano in astratto, che vedono i problemi dove non ci sono, i nemici e non il nemico e lo facciamo sempre convinti di noi stessi tanto da credere di non avere obblighi verso la comunione. C’è bisogno di uomini di speranza che credono alla luce quando c’è il buio, disposti a seminare bontà nella cattiveria, a costruire tenacemente l’amicizia quando c’è la divisione, di dare tutto per la Chiesa.

Gesù ci fa ardere il cuore nel petto e si fa riconoscere nello spezzare del pane per affrontare le inevitabili difficoltà, i cambiamenti delle nostre strutture non ritirandosi ma uscendo incontro, costruendo sulle macerie della crisi di tante disillusioni.

 

Sì, la Chiesa oggi, vuole rivolgersi a tutti per, come scriveva San Francesco “amare i nostri prossimi come noi stessi, attirando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri, e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a nessuno. Parola, Pane, Poveri.

Abbiamo con gioia condiviso il pane del cielo. Condividiamo quello della terra. Uno rimanda all’altro.

 

Ci aiuti San Petronio, nostro patrono e la Madonna di San Luca, lei, umile, che la Parola l’ha ascoltata e messa in pratica, che ha creduto nel suo adempimento, che è rimasta sotto la croce ed ha visto la gioia della resurrezione.