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Basilica di San Petronio | OMELIA DEL CARD. G. BIFFI
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Omelia del Card. G. Biffi

4 OTTOBRE 1986

 

“Voi siete l’eredità del Signore, voi siete il futuro possesso del Regno celeste; con voi desidero che mi sia dato tutto ciò che da Cristo è riservato ai suoi servi fedeli”. Con queste belle parole il nostro grande padre San Petronio nel giorno anniversario della sua ordinazione si rivolgeva ai bolognesi di quindici secoli fa. Con le stesse parole voglio oggi rivolgermi a voi, io che sono l’ultimo suo successore, remoto da lui nel tempo e nei meriti, ma a lui saldamente connesso per l’identità dell’adesione al Vangelo e per il medesimo servizio pastorale a questa città.

 

In quindici secoli molta acqua è passata sotto i ponti del Reno, molte bandiere sono state issate e sono state ammainate; molte prepotenze hanno dominato e sono cadute nel nulla: molte ideologie, che sembravano definitive ed eterne, sono declinate e scomparse. Solo la fede cristiana è rimasta immutata, più o meno viva, più o meno operosa, più o meno largamente accolta, ma sempre identica a sé. Questa cattedra episcopale ha attraversato tutte le tempeste, e per la gente di Bologna è rimasta in mille e cinquecento anni l’unico punto di riferimento che non è mai venuto meno.
Centodiciotto sono gli uomini che si sono succeduti in questa sede, come “vicari dell’amore di Cristo”: diversi per condizioni di vita, per stirpe, per temperamento, per cultura, tutti hanno trovato il fondamento e la ragione della loro rilevanza nel fatto di essere gli apostoli dell’unico Salvatore dell’uomo, e quasi “sacramenti” della presenza operativa in questo gregge del Signore Gesù, principe dei pastori e capo del suo corpo che è la Chiesa.
Le persone, anche quelle umanamente più dotate, più adorne di virtù, più stimate e onorate, sono sempre fragili e piccole, e passano presto. Ma oltre la figura e l’azione dei vescovi che successivamente arrivano alla ribalta della storia, noi riconosciamo e adoriamo la figura e l’azione del Signore che ci ha redenti; e “Gesù Cristo è lo stesso, ieri oggi e sempre” (Eb 13,8).
Cristo è sempre vivo, sempre eloquente e incisivo col suo messaggio di verità, sempre efficace coi suoi mezzi di grazia; è colui che, tante volte osteggiato e umiliato dalle potenze mondane, alla resa dei conti apparirà vincitore. Nel nome di Cristo, nella comunione di fede con tutti i miei predecessori, oggi rivolgo a voi, bolognesi, le stesse parole di San Petronio.

 

“Voi siete l’eredità del Signore”. Voi siete dunque di Dio; del Padre, che vi ha chiamati “alla sua ammirabile luce” (Pt 2,9), e di Cristo, il Figlio di Dio, che con il suo sangue vi ha liberato dalla sciagura di una “vuota condotta” (1Pt 1,18), cioè di una vita senza scopo.
Questa città in tutta la sua lunga storia, nelle sue consuetudini di civiltà e nelle sue antiche istituzioni, nei monumenti che più l’abbelliscono, porta i segni chiari di questa vocazione e di questa appartenenza, che è entrata per sempre a determinare la sua identità.
“Voi siete l’eredità del Signore”. Quando questa vocazione è tradita, fatalmente Bologna smarrisce la propria anima e perde la sua autenticità; quando questa appartenenza appare disconosciuta, Bologna intristisce, e non sa più dare frutti né di bellezza, né di vera gioia.
A me pare che appunto la questione della gioia – più che quella del traffico o del piano regolatore – sia per questa città la questione centrale. Non balocchiamoci coi luoghi comuni; piuttosto proviamo un po’ tutti a misurarci coi fatti, quali emergono dai dati statistici: questa città, e anzi questa regione, coi suoi primati di denatalità e di suicidi, pare proprio che stia perdendo la voglia di vivere.
Questa città ha bisogno di gioia. Al modello sociale che si è instaurato in queste ultime generazioni, io, vescovo e apostolo di Cristo crocifisso e risorto, non rimprovero affatto di mirare a raggiungere il godimento e il benessere; rimprovero di non riuscirci. Perché se non si gode con significato, non si gode per niente. Il benessere che non si accompagni con la proposta di qualche ideale plausibile, alla fine diventa malessere.

 

Una cultura che identifica totalmente la gioia con qualche esercizio di potere, con il piacere che non abbia altro scopo che sé stesso, con l’affermazione di sé fino alla prevaricazione, è una cultura che conduce diritto la gente alla casa dell’infelicità.
Noi abbiamo bisogno di gioia. Si può vivere senza piaceri e senza agi, ma non si può vivere senza gioia. Abbiamo bisogno che ci venga offerta una gioia che valga sempre; valga non solo per i ventenni, ma anche per gli ottantenni; che dia senso e speranza non solo al tempo del lavoro, ma anche a quello del pensionamento; che possa essere assaporata non solo dai sani e dai validi ma anche dai malati e dai vecchi.
Una società che garantisce ai bambini vitamine e giocattoli e ai giovani motorini e settimane bianche, ma con le sue leggi e coi suoi costumi li va derubando sempre più largamente del loro sacrosanto diritto di avere una famiglia unita e dei genitori che continuino ad amarsi e a vivere insieme, è. una società che non destina le nuove generazioni alla gioia, ma piuttosto all’amarezza, al cinismo, all’orrore di giorni immotivati.
La strada per la riconquista della gioia passa attraverso la riscoperta della fondamentale verità ricordataci da San Petronio, il nostro patrono: “Voi siete l’eredità del Signore”. Ascoltiamo la sua voce, noi che siamo memori e fieri del suo nome.

 

“Voi siete il futuro possesso del Regno celeste”. Questa seconda parola di San Petronio ai bolognesi ci dice che l’appartenenza a Dio, oltre alla gioia, ci assicura anche il sogno della speranza.
Il Regno di Dio è il traguardo di tutti i nostri passi. Solo la certezza di avere una destinazione ultima piena di luce può salvare dall’oscurità e dalla tristezza i giorni dell’esistenza, tutti, dal primo all’ultimo: i giorni dei sogni, della vitalità e dell’ebbrezza e i giorni consolati soltanto dai lontani ricordi; i giorni del vigore e dell’intraprendenza e i giorni della fiacchezza e della pena; i giorni riscaldati dall’amore e dall’amicizia e i giorni raggelati dalla solitudine e dall’abbandono.
Noi abbiamo bisogno di una speranza che valga non solo per le stagioni luminose e ferventi, ma per tutte le stagioni dell’uomo; abbiamo bisogno di una speranza che sappia sorreggerci in tutte le ore, anche le più difficili e buie. Proprio di questa speranza la cultura oggi dominante va impoverendo l’umanità, lasciandola alla fine preda di un’invincibile angoscia.
Ma voi – dice oggi San Petronio a noi suoi lontani discepoli – voi questa speranza l’avete: “Voi siete il futuro possesso del Regno celeste”.

 

Anche la città come tale ha bisogno di speranza. C’è oggi nella nostra Bologna, e in tutta la società attuale, come una caduta di tensione. Si sono bruciati molti degli ideali che avevano un tempo infiammato i cuori e le fantasie; ideali magari inconsistenti, se sottoposti all’esame di una ragione davvero rigorosa e spregiudicata, ma certo generosi e rispettabili: l’ideale di una patria nobilitata e resa grande dall’onestà e dalla passione di tutti i cittadini; l’ideale di una società dove le riforme di strutture avessero debellato l’egoismo; l’ideale di una convivenza umana senza ingiustizie, senza miseria, senza disperazione.
Adesso si ha l’impressione che nessuno si proponga più niente di bello e di grande davanti a sé, e viva alla giornata senza inseguire un futuro.
Cari bolognesi, tornate pure a sperare nel “sol dell’avvenire”, al quale ormai non crede più nessuno né in Oriente né in Occidente, ma per amor di Dio sperate in qualche cosa. Non riducete le vostre mète esistenziali nell’arrivare a mangiare le aragoste e a guidare la fuori serie. Meglio una speranza illusoria (come sono quelle non fondate su Cristo), che la squallida filosofia di chi si propone unicamente di spremere ogni stilla di piacere dall’ora fuggevole che gli è donata.
“Voi siete l’eredità del Signore, voi siete il futuro possesso del Regno celeste”. Per essere aiutata a capire la profondità di queste parole di San Petronio e a farne principio di vita, la Chiesa di Bologna, rispettando la tradizionale scadenza decennale, si accinge a celebrare il settimo Congresso Eucaristico Diocesano.

 

Oggi, da questo tempio stupendo e a noi carissimo prende inizio ufficialmente per l’intera famiglia dei credenti un anno di riflessione, di preghiera, di impegno operoso. Esso ci porterà a vivere intensamente e fruttuosamente le manifestazioni che occuperanno le ultime settimane del prossimo settembre e in particolare la giornata conclusiva del Congresso, che sarà il 4 ottobre 1987.
L’Eucarestia è il dono più prezioso che il popolo di Dio ha ricevuto dal suo Signore: è il sacrificio della Nuova Alleanza, posto nelle nostre mani perché sia da noi insieme con Cristo continuamente offerto al Padre; è l’alimento che tiene la Chiesa sempre giovane e viva, in mezzo al decadere e all’invecchiare di tutti i sistemi, le strutture del mondo; è la presenza vincente di colui che in ogni epoca della storia resta coi suoi.
L’Eucarestia è la fonte vera, unica e inesauribile della gioia e della speranza. Col Congresso Eucaristico Diocesano noi vogliamo invitare la nostra città e il nostro popolo, bisognosi soprattutto di gioia e di speranza, ad abbeverarsi a questa antica sorgente, perché Bologna ritorni a essere il luogo dove davvero si ami gioiosamente la vita, e perché sia ridato alla nostra gente il gusto di guardare in avanti, la voglia di avere un futuro, l’energia necessaria a costruire per le generazioni che verranno una società più vivace, più pronta a capire il senso ultimo delle cose, in grado di rispettare di più e di esaltare i veri valori dell’esistenza.