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Basilica di San Petronio | La Fabbriceria - Basilica di San Petronio
La fabbriceria nasce in contemporanea con la posa della prima pietra in San Petronio nel 1390. Quattro cittadini organizzarono i lavori per la costruzione.
La Fabbriceria
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LA FABBRICERIA DI SAN PETRONIO

1. La storia della Basilica

2. La facciata e i fianchi della Basilica

3. Gli interni

4. Il Campanile

5. La Sagrestia

6. La Sagrestia Capitolare

1. La storia della Basilica

 

La terza campata fu eretta negli anni 1441-1446, dopo una sosta causata dal fatto che il cardinale Baldassarre Cossa vendette abusivamente il materiale da costruzione preparato per San Petronio e si appropriò del denaro della Fabbrica.

Durante il Concilio di Costanza, il Cossa venne deposto ma intanto, dal 1425, si era chiamato lo scultore senese Jacopo della Quercia a lavorare al portale maggiore che rimase purtroppo incompiuto alla sua morte, nel 1438.

 

Durante la signoria di Giovanni Bentivoglio la città godette di un periodo di pace e grazie ad egli i lavori poterono proseguire, infatti venne eretta la quarta campata con le corrispondenti navi minori e cappelle laterali ( 1447-1462), quindi la quinta campata (1458-1462); si costruì una nuova cappella maggiore a capo della quarta campata ( 1462-1479), si gettarono le fondamenta delle due ultime cappelle e su una di esse si eresse il campanile (1481-1492).

 

Sino alla fine del ‘400 venne seguito il progetto di Antonio di Vincenzo che prevedeva tre navate di cui la centrale a pianta quadrata e le laterali a pianta rettangolare su cui si aprono, per ogni parte, due cappelle anche esse a pianta rettangolare.

Ma per quanto riguarda l’impostazione del transetto e il collegamento al corpo centrale dove avrebbe dovuto esserci la cupola si presentarono dei problemi dovuti alla scomparsa del progetto originale.

 

Nel 1514 Arduino Arriguzzi venne nominato architetto della Fabbrica con il compito di erigere la cupola.

Il progetto iniziale prevedeva una cupola grandiosa, che sarebbe stata impostata, non più sul quadrato della volta della navata maggiore, ma sull’ottagono risultante dalla larghezza di questa con le navate laterali, ciò obbligò l’architetto ad aumentare lo sviluppo dei transetti e dell’abside in cui si sarebbe ripetuto lo schema, a tre navate con cappelle laterali, della porzione di chiesa fino allora edificata.

 

Questo progetto venne considerato troppo grandioso e complicava la struttura della chiesa per tal motivo dopo aver elevato i primi due pilastri destinati a sorreggere la cupola e due dei quattro grandi piloni triangolari che avrebbero dovuto servire da contrafforti alla medesima, i lavori vennero arrestati.

Anche le condizioni politiche nel XIV, con il diretto dominio papale sulla città, influirono sui lavori.

 

Infatti nel 1562 il Vicelegato Pier Donato Cesi fece erigere il Palazzo dell’Archiginnasio come sede unica e stabile dell’università di Bologna, occupando lo spazio su cui avrebbe dovuto estendersi il braccio orientale del progettato transetto; ciò fu eseguito malgrado le proteste del Senato bolognese.

Questo arresto dei lavori provocò anche un problema nella conclusione planimetrica dell’edificio, ma fu affrontato e risolto fra il 1653 e il 1663, si costruì una grande abside semicircolare e nella campata che la precede fu ricavato il posto per il coro, vennero sistemati gli organi e le cantorie.

 

All’imbocco della campata stessa fu collocato l’altare maggiore sovrastato da una grande tribuna su quattro colonne marmoree, ottenuta modificando ed arricchendo quella che era stata costruita su disegno del Vignola.

Le navate minori vennero chiuse con muri rettilinei.

 

In tal modo l’impressione di incompletezza della basilica al suo interno venne sostanzialmente annullata.

Fra il 1646 e il 1659 sotto la direzione di Girolamo Rainaldi la basilica fu chiusa da una serie di ardite volte ogivali, così venne risolto anche il problema dell’altezza da dare alle volte della navata maggiore.

In particolare il Settecento vede l’intervento in San Petronio dei due maggiori architetti bolognesi del tempo: Carlo Francesco Dotti nella cappella di Sant’Ivo e di Alfonso Torreggiani in quella di San Petronio.

 

Il Dotti si cimentò anche in un progetto di rifacimento della facciata, ispirato al barocco romano, ma che servì soltanto a dimostrare l’improponibilità di simili soluzioni.

Nell’Ottocento si presentarono diversi progetti per completare la facciata della basilica: progetti in stile neoclassico furono elaborati nel 1847 e nel 1858, e nel 1887 si varò un concorso ufficiale che non portò alla scelta di alcuno dei progetti presentati.

Tra il 1896 e il 1932 furono effettuati dei restauri che portarono a un progressivo riordino delle cappelle, misero in miglior vista le opere d’arte, scoprirono e restaurarono affreschi, riaprirono gran parte delle bifore parzialmente otturate.

 

Nel 1894 venne creato il piccolo ma importante Museo annesso alla basilica, dove furono raccolti gli antichi progetti per la facciata, modelli architettonici, oreficerie, paramenti e la serie di coriali miniati.

Nel 1934-1935 l’interno della chiesa fu ripulito, riscoprendo gli originari colori bianco e rosso alterati da una tinta giallastra data nel 1858.

Rimasta illesa dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale, la basilica ha visto recentemente un restauro conservativo della facciata (1973-1979), quello dei due antichi organi (1974-1982) e quello del sagrato.

2. La facciata e i fianchi della Basilica

 

Il senso di incompiutezza è visibile nella facciata della Basilica, infatti si presenta ornata solo nella parte inferiore mentre nella parte superiore è rimasta allo stato di grezza muraglia irta di mattoni sporgenti, destinati a sostenere un rivestimento marmoreo che non venne mai terminato.

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Il progetto iniziale non prevedeva che l’intera facciata venisse coperta di marmi ma che questi fossero impiegati solo nel basamento, nelle porte, finestre e cornici terminali, mentre in mattone sagramato avrebbero dovuto essere in tutti gli ampi spazi murari; questa soluzione era dettata dalla mancanza nel territorio di cave di marmi e di pietra da taglio.

 

Ad Antonio di Vincenzo si deve anche il basamento, che dalla facciata si prolunga sui fianchi della basilica.

La facciata si orna, nella parte frontale, di mezze figure a bassorilievo eseguite nel 1393-1394, su disegno del pittore Jacopo di Paolo, dagli scultori Paolo di Bonaiuto (S. Francesco, S. Domenico, S. Floriano) Giovanni di Ringuzzo da Varignana ( S. Pietro, S. Petronio, S. Ambrogio) e Giovanni Ferrabech di Alemagna (S.Paolo).

Il “ S. Agostino” è di Giacomo da Ferrara (1541).

I piloni angolari della facciata, che nelle movenze planimetriche e nelle nicchie cercano di imitare le forme gotiche, si devono al disegno di Domenico da Varignana (1538) a cui si deve anche il restante rivestimento marmoreo della facciata a monotoni specchi rettangolari e nicchie prive delle relative statue.

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Al centro della facciata si trova, anch’essa incompiuta, la Porta Maggiore , capolavoro dello sculture senese Jacopo della Quercia iniziata nel 1425 ma non conclusa a causa di altri lavori che lo scultore dovette seguire a Siena.

Jacopo della Quercia si occupò anche delle 10 formelle con storie dell’antico testamento che, cinque per parte, salgono lungo i pilastri a sostenere l’architrave con cinque episodi evangelici.

Nel 1508 Michelangelo collocò una statua bronzea di Giulio II, andata distrutta tre anni dopo dal popolo.

A Domenico da Varignana (1510) spetta il “S. Ambrogio” , mentre a scultori del primo Cinquecento si devono i quindici profeti dell’archivolto.

Le due porte laterali, iniziate nel 1518 su disegno di Domenico da Varignana e terminate alla metà del XVI seguendo un nuovo disegno di Ercole Seccadenari, presentano sculture non prive di pregio ma non all’altezza di Jacopo della Quercia.

 

Nelle pilastrate e nell’architrave della porta a sinistra sono rappresentate storie del Vecchio e del Nuovo Testamento.

I fianchi del tempio ideate da Antonio di Vincenzo sono formati da contrafforti che scandiscono i vasti spazi murari in rosso mattone sagramato su cui si aprono le grandi finestre ogivali, ciascuna delle quali da luce ad una cappella.

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Le prime due presentano ricchi trafori marmorei che ricordano quelli del Duomo di Milano, mentre per le altre, sicuramente per mancanza di fondi, venne adottato un più semplice partito a bifore accoppiate.

Sull’ultima cappella del lato di ponente è impostato l’alto campanile quadrato, con grandi bifore all’altezza della cella campanaria, eretto dal 1481 al 1492 sotto la direzione di Giovanni da Brensa e che accoglie quattro campane, due fuse nel 1492 e due nel Cinquecento.

3. Gli interni

 

L’interno della basilica (lungo 132 metri, largo 60, alto 44.24) si articola in tre navate con ventidue cappelle laterali.

È presente il tipico slancio dello stile gotico insieme alla calda dicromia data dall’alternarsi del rosso del mattone cotto dei pilastri, delle lesene e delle cordonature e il bianco delle volte imprimono una tonalità calda e luminosa.

Dal 1648 al 1658, in piena età barocca, sotto la direzione dell’architetto Girolamo Rainaldi la basilica fu chiusa da una serie di volte ogivali.

I piloni che dividono le sei campate sono a pianta poligonale con basamenti e capitelli in arenaria di Varignana .

4. Il Campanile

 

Venne costruito fra il 1481 ed il 1492 sotto la direzione di Giovanni da Brensa, impostandolo sopra la cappella delle reliquie(allora la sagrestia).

Presenta delle forme semplicissime e un connubio fra il rosso del mattone ed il bianco del marmo, qui creato dalla colonna inserita nella bifora della cella campanaria, lavorata nella bottega di Albertino Rusconi.

 

Nel 1490 si pensò di dare al campanile un più complesso coronamento e se ne fecero predisporre due modelli: uno al mantovano Sperandio (oggi nel museo) ed uno ad Agostino de’ Marchi (perduto) i quali però non vennero mai realizzati.

Nella cella campanaria vi sono quattro campane: la grossa (23-24 quintali) fusa nel 1492 dal provenzale Michele di Garello; la mezzana (8-9 quintali) fusa da Antonio di Anchise Censori nel 1584, detta anche “scolara” in quanto indicava con il suo suono l’inizio delle lezioni nel vicino Archiginnasio; la mezzanella (5-5,5 quintali) fusa nel 1492 dal provenzale Giovanni di Garello; la piccola (4 quintali circa), fu fusa nel 1578 da Anchise Censori.

 

Nel 1818 il fonditore bolognese Gaetano Brighenti limò gli orli dei quattro bronzi per migliorare l’armonia del suono.

Secondo il caratteristico sistema bolognese, detto “a doppio” il suono a festa viene eseguito manualmente da una squadra di “mastri campanari”, composta da un minimo di sei membri ad un massimo di quattordici; invece se viene eseguita la “scappata”, ossia la manovra composta da successive spinte, porta le campane, da una posizione iniziale a bocca in giù, a compiere un giro completo di 360 gradi attorno ai perni di sostegno, seguendo il tempo musicale.

Nel campanile ha sede la “Unione Campanari Bolognese” fondata nel 1912.

5. La Sagrestia

 

L’ampio vano, costruito ed adibito a sagrestia verso la metà del sec. XVII, è decorato con una vasta serie di dipinti che rappresentano gli episodi della leggendaria vita di S. Petronio, eseguiti tra 1708-1713.

Da sinistra a destra si può ammirare: sopra il banco della tabularia, il battesimo di S. Petronio di Carlo Niccolini; nella parete, sopra la bella pendola dell’orologiaio bolognese Carlo Fiorini (sec. XVIII): in alto, il Santo si reca nel deserto, sempre del Niccolini; sotto, il Santo viene inviato dall’imperatore Teodosio al Papa Celestino I, di Francesco Alberti detto Fiumana per le figure e Antonio Ferrari per le quadrature.

 

Proseguendo ancora verso destra: in alto, i Bolognesi chiedono al Papa di inviare loro un vescovo, del Niccolini; in basso, S. Pietro appare a Papa Celestino e lo induce a nominare S. Petronio vescovo di Bologna, del duo Fiumana-Ferrari; sopra la porta della sagrestia capitolare, consacrazione vescovile del Santo; oltre la porta: in alto, arrivo del Santo a Bologna, di Francesco Colonna; in basso il Santo erige le quattro croci alle porte della città, del Fiumana.

Sopra la porta del lavatoio: in alto, predica del Santo contro gli eretici, di Carlo Antonio Rambaldi; sotto, S. Petronio scrive le vite dei Padri, di Cesare Giuseppe Mazzoni , sotto la finestra vi è un “Cristo alla colonna” del XVII.

 

Oltre la finestra: in alto, il Santo ottiene privilegi per l’Università dall’imperatore Teodosio, del Mazzoni; in basso, il Santo, si accomiata da Teodosio, di Giuseppe Perazzini detto il Mirandolese.

Sulla parete della credenza, in alto e da sinistra: il Santo misura i luoghi santi di Gerusalemme, del Fiumana; il Santo invoca la Madonna, di Carlo Antonio Rambaldi.

 

I quattro quadretti sottostanti rappresentano, da sinistra: il Santo fa erigere una croce nella chiesa di S. Giovanni in Monte, di Giovanni Breviglieri; il Santo consegna i privilegi dello Studio ai magistrati bolognesi, di Francesco Vadi; infine il Santo in punto di morte convoca il clero bolognese, di Fiumana e Ferrari.

 

Nella parete della porta d’ingresso, da sinistra: in alto, il Santo guarisce il muratore coinvolto in un crollo, di Fiumana e Ferrari; in basso, il Santo libera un pellegrino dalla penitenza di tenere in bocca un sasso, di Alessandro Trocchi, aggiunto dopo il 1713; sopra la porta la bella Madonna in trono con il Bambino, dipinta su tela sagomata, è di Carlo Antonio Rambaldi; infine a destra in alto il Santo reca le Reliquie in processione dello stesso Rambaldi.

 

Il credenzone bugnato, in noce, venne eseguito nel 1658 da Marco Paganucci in quella forma a due corpi sovrapposti, ma staccati, ebbe grande fortuna nel secolo successivo, dello stesso autore sono i mobili restanti della sagrestia.

6. La Sagrestia Capitolare

 

L’ambiente è dominato dal grande armadio che corre lungo l’intero perimetro della sala e che venne eseguito anche esso nel 1658 da Marco Paganucci.

Sopra l’armadio, lungo le pareti sono ordinati, dalla porta di ingresso e verso destra, i seguenti dipinti: ritratto di Papa Pio II Piccolomini del XVII; ritratto del cardinale Angelo Capranica, di Giacomo Porta, sec XVII; ritratto del Papa Gregorio XIII; martirio di S. Pietro, di Giuseppe Pedretti; lapidazione di S. Stefano; ritratto del Papa Benedetto XIV; S. Petronio accolto dal Bambino e dalla Vergine, di Gianpietro Zanotti (1710-1713); ritratto del cardinale Pompeo Aldrovandi del sec. XVIII.